giovedì 31 luglio 2014
SPACEMEN 3 - DREAMWEAPON
REVIEW OF SPACEMEN 3 AT WATERMAN'S ART CENTRE FROM CHEREE
… In a softly lit foyer bar down by the Thames we find ourselves huddled tighter in groups whilst local patrons look on in indignation at what their beloved arts centre has become refuge to. Before us, between two columns in the centre of the bar, seated and almost motionless, our four Spacemen, amps pointed inwards and thoughts transfixed likewise. The air surrounding them is rich with the delicate hum of vibrant electricity, an incessant throbbing ambience rising to stirring crescendos and then falling away to a whisper. The best way to describe it would be intense but atmospheric, so much so that it blends with the feel of the occasion with out being loud and oppressive. Sonic's plectrum clicks audibly against his strings causing rhythmic arcs of sound to pulsate throughout the bar and wing their way casually into the night air. Jason meanders around, pulling a hypnotic ellipse of jagged spectral tonality from his fretboard, repeating phrase after phrase, again and again, minimal, maximum. To call it contemporary sitar music is no untruth. They have always relied on the drone in their manifestation as a rock band and here they take it to an extreme. Throughout the set they keep up this continuous momentum, now and then slipping in half-formed parts of songs which would finally appear on Playing With Fire. In a way, then, this performance is a precis of that whole album and an introduction to their more relaxed, nebulous side. All around the room people's expression range from disinterest to irritation to fascination. How long can they keep up this game of seduction? The sheer endurance requires a single bloody-mindedness common only to men possessed. After ninety minutes (longer than they ever play with gaps between songs!), Sonic glances at his watch and leads the descend into silence. Each successive contracting whirl of the spiral down brings up closer to reality. The starship lands, there is a smattering of relieved applause, and we leave feeling privileged at having experienced something truly beautiful.
The recording of 'An Evening of Contemporary Sitar Music' has been released several times in various bootleg forms, this is the first official release in the UK on Space Age Recordings.
listent here: http://www.e-x-p.it/54p.html
AN EVENING OF CONTEMPORARY SITAR MUSIC 43:30
Recorded at Waterman's Art Centre, Hammersmith, 19th August 1988.
Sonic Boom: Vox Starstreamer
Jason: guitar
Will Caruthers: bass vibrations
Steve Evans: guitar
Pat Fish: joint rolling
mercoledì 30 luglio 2014
DREAM MUSIC by LA MONTE YOUNG
DREAM MUSIC
BY LA MONTE YOUNG
In Dream Music there is a radical departure from European and even much Eastern music in that the basis of musical relationship is entirely harmony. Not European harmony as textbooks have outlined it, but the intervallic proportions and acoustical consequences of the particular ratios which sound concomitantly in the overtone series when any simple fundamental is produced. Melody does not exist at all (The Disappearance of Melody) unless one is forced to hear the movement from group to group of various simultaneously sounded frequencies derived from the overtone series as melodic because of previous musical conditioning. Even before the first man moved successively from one frequency to another (melody if you like), a pattern of the movement, that is the relationship of the second frequency, was already predetermined (harmonically) by the overtone structure of the fundamental of the first sound. And in the life of the Tortoise the drone is the first sound. It last forever and cannot have begun but is taken up again from time until it lasts forever as continuous sound in Dream Houses where many musicians and students will live and execute a musical work.
Dream Houses will allow music which, after a year, ten years, a hundred a years or more of constant sound, would not only be a real living organism with a life and tradition all its own but one with a capacity to propel itself by its own momentum. This music may fly without stopping for thousands of years, just as the Tortoise has continued for millions of years past, and perhaps only after the Tortoise has continued for as many million years as all of the tortoises in the past will it be able to sleep and dream of the next order of tortoises to come and of ancient tigers with black fur and omens the 189/98 whirlwind in the Ancestral Lake Region only now that our species has had this much time to hear music that has lasted so long because we have just come out of a long quiet period and we are just remembering how long sounds can last and only now becoming civilized enough again that we want to hear sounds continuously. It will become easier as we move further into this period of sound. We will become more attached to sound. We will be able to have precisely the right sounds in every dreamroom, playroom, and workroom, further reinforcing the integral proportions resonating through structure (re: earlier Architectural Music), Dream Houses (shrines, etc) at which performers, students, and listeners may visit even from long distances away or at which they may spend long periods of Dreamtime weaving the ageless quotients of the Tortoises in the tapestry of Eternal Music.
martedì 29 luglio 2014
venerdì 25 luglio 2014
Franco Pinna, un'occhio non partecipante.
Franco Pinna (La Maddalena 1925 – Roma 1977) era un occhio non partecipante. Questa definizione serviva a rendere l’idea di colui che si trova in mezzo a un avvenimento, anche vorticoso, lo annota con la macchina fotografica ma non può, né vuole, prenderne parte. Resta fuori dal nucleo della vicenda per renderla oggettivamente.
Questa caratteristica connotò l’attività di Pinna sin dagli esordi, avvenuti nei panni di direttore della fotografia in un documentario girato nel 1951 nella zona di Comacchio, Canto d’estate (regia di Pier Luigi Martinori e Stefano Ubezio).
Il 1951 è l’anno in cui Franco Pinna decide di fare della fotografia il suo mestiere, e insieme ad altri colleghi fonda a Roma la cooperativa Fotografi Associati, dando slancio al fotogiornalismo italiano, e vita alla figura di fotografo d’assalto, sulla falsa riga dell’agenzia statunitense Magnum. Bisogna ricordare che gli Stati Uniti erano la patria di nascita della rivista Life, in prima linea nella realizzazione di fotografie che hanno fatto la storia, oltre che immortalarla.
Il 1951 è l’anno in cui Franco Pinna decide di fare della fotografia il suo mestiere, e insieme ad altri colleghi fonda a Roma la cooperativa Fotografi Associati, dando slancio al fotogiornalismo italiano, e vita alla figura di fotografo d’assalto, sulla falsa riga dell’agenzia statunitense Magnum. Bisogna ricordare che gli Stati Uniti erano la patria di nascita della rivista Life, in prima linea nella realizzazione di fotografie che hanno fatto la storia, oltre che immortalarla.
A partire da questo momento Pinna, dopo l’iniziale parentesi cinematografica, sposta i suoi interessi verso la fotografica antropologica, e troverà libero sfogo unendosi agli intenti di Ernesto de Martino e Franco Cagnetta, due studiosi di antropologia che realizzeranno una serie di spedizioni nel sud Italia, fondamentali per due motivi: per prima cosa perché faranno conoscere l’Italia agli italiani, cosa che non era così scontata (addirittura, alla fine della seconda guerra mondiale, molti italiani conobbero le condizioni e le usanze del sud grazie a fotografi stranieri come Henry Cartier Bresson o grazie a immagini scattate dai soldati americani). Il secondo motivo che rende importanti le esperienze di De Martino è stata la completa sinergia di tecniche voluta fortemente dallo studioso: al fine di raccogliere quante più possibile notizie su usanze e abitudini del sud, De Martino si circondò di musicologi, antropologi, psicologi e anche di fotografi. Uno in particolare, Franco Pinna.
Gli anni d’oro della ricerca etnografica catalizzarono molte delle energie del fotografo sardo, che una volta tornato da questa esperienza proseguì da solo una sua ricerca sul soggetto umano disurbanizzato, ma non solo.
Si dedicò anche al semplice reportage, continuò con il fotogiornalismo e infine, nel 1964, ritornò al cinema divenendo fotografo di scena per Federico Fellini, proprio quando questi stava lasciando il bianco e nero per entrare a pieno titolo nel colore con Giulietta degli Spiriti.
I set di Fellini erano caratterizzati quasi sempre da un’atmosfera famigliare e di festa, ma Pinna era amato dal regista per il suo essere “non partecipante”, per essere discreto, meticoloso fin all’eccesso: “ Franco Pinna? Una calma da cow-boy in un film di Sergio Leone […] a volte gli chiedevo “L’hai fatta?” e lui mi rispondeva con silenziosi sorrisi […] mi dava sicurezza, perché vedevo che lavorava seriamente, con rispetto verso di me e verso il mio lavoro”. Sono parole dello stesso Fellini che meglio d’altro sanno descrivere il modus operandi di Pinna.
Pinna accompagnò Fellini per la durata quasi totale dell’esperienza cinematografica a colori, operando come fotografo di scena: quando ancora non si usava il video a scopo documentaristico durante le riprese, si affidava al fotografo il compito di immobilizzare il movimento per rendere l’atmosfera del lavoro e di come si creava una scena. Ci restano alcune immagini scattate durante il film-documentario destinato alla televisione, I Clown, forse una delle cose che Fellini ha più amato fare essendo un grande amante del circo. Le immagini che parlano meglio di questo Fellini “circofilo” sono due su tutte: il ritratto dello stesso regista mentre si sta truccando da clown rosso (se avesse potuto stare in un circo avrebbe voluto essere proprio un toni), e l’immagine iniziale del film, un bambino visto di spalle che rimane affascinato davanti a una pista vuota, che ci rimanda in un certo senso al bambino che compare alla fine di 8½, naturalmente il regista stesso. Queste sono le immagini più poetiche, ma non manca la documentazione pura, come i ritratti di scena realizzati per il tributo ai Fratellini, i celebri clown.
In questo senso non sarà stato “partecipante” (così lo amava Fellini!), ma i suoi lavori hanno costituito gli special che poi venivano realizzati sul regista; si è quindi indirettamente reso partecipe della creazione di un mito vedendolo di spalle, proprio come il bambino della foto.
Stefania Ciocca
giovedì 24 luglio 2014
martedì 22 luglio 2014
mercoledì 16 luglio 2014
martedì 15 luglio 2014
lunedì 14 luglio 2014
venerdì 11 luglio 2014
giovedì 10 luglio 2014
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